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I sabati nel Sud: la Southeastern Conference (parte prima)
Dagli albori, alle rivalità, agli allenatori che hanno fatto la storia della Southeastern Conference. Un viaggio negli stati del Sud.
Proponiamo ai lettori di Touchdown Magazine, questa piccola parte che racconta la nascita della Southeastern Conference. La Conference del Football Collegiale che più di ogni altra domina in lungo e in largo.
Quest’anno si celebrano i 150 anni di football collegiale. Ci sembrava giusto raccontarvi alcuni aneddoti degli albori delle università del sud-est americano.
Universalmente, la fine della Guerra Civile americana è datata al 5 aprile del 1865. Il Regno d’Italia era stato unificato da poco meno di 4 anni, e il sedicesimo presidente dell’unione, Abraham Lincoln sarebbe morto dieci giorni dopo, non senza aver chiesto nel pieno della guerra un aiuto all’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi. Al termine della guerra, c’era John Wilkes Booth che stava pianificando l’assassinio di un presidente legittimo, vincente e abolizionista, e il sottofondo musicale era quello di Dixieland, l’inno ufficioso della Confederazione.
Il nord fioriva, e con lui anche il football che conosciamo ora. Era uno sport giocato nei college delle Ivy league: Rutgers, Princeton, Yale, Harvard. La classe dirigente degli anni successivi alla guerra civile, si dilettavano nel football come passatempo. Il football che conosciamo adesso sarà poi raffinato, migliorato, e abbracciato in quegli stati che hanno deciso di usarlo come motore del loro animo, nel Sud.
Saranno le università del Sud a dare nuovo impulso allo sport che, se siete qui, ci appassiona così tanto.
È l’anno 1869, siamo a cavallo tra le presidenze di Andrew Johnson e Ulysses Grant. Princeton e Rutgers stanno giocando la prima partita di college football della storia. È l’anno in cui nasce John Heisman. Un pioniere dello sport, ma che invece di far fortuna proprio tra gli yankee, sarebbe andato nelle caldi terre piantate a cotone del Sud, che erano ritornate a far parte dell’Unione, che non aveva più schiavi, e che avrebbe preso di diritto il ruolo centrale di culla del football.
Dopo la Guerra
Quando si perde una guerra, oltre ad avere un collasso economico, ci fu anche quello psicologico. “Ma dove possiamo mai dire di essere fiera gente del Sud?!”, si mormorava nelle ville delle piantagioni.
Se il nord, industrioso, operoso, e antischiavista prosperava, c’era tutta una parte di continente che doveva essere presa per mano, ricostruita: il nuovo movimento progressista che si stava facendo strada nel sud, voleva essere quasi ad immagine e somiglianza del Nord, e il football era una di quelle cose che i patrizi e gentili del Sud avevano puntato.
“Lo schiavismo ci ha tenuto fermi, ha tenuto tutto il Sud indietro. Dobbiamo andare avanti, con le industrie, con l’urbanizzazione, proprio come fanno al Nord”. Sfortuna vuole che tutta questa bella premessa fu in qualche modo idealizzata nella cosiddetta Causa Persa: sorgono in molte città di molti stati del sud (dalla Virginia, al Mississippi, dall’Alabama alla Louisiana) nei 20 anni successivi, numerosi monumenti dedicati ai soldati e agli ufficiali degli stati confederati (come ad esempio Robert E. Lee, o Stonewall Jackson fra i tanti).
Se c’era una cosa che più si avvicinava alla bellicosità che ancora ritornava dalla guerra civile, è proprio quella di trasferirla su un campo di football. Tuttavia, tra i paternalismi vari della società del Sud c’era quella strana e vaga idea che l’industria, i lavori d’ufficio, avrebbero ammorbidito gli animi duri dei figli della guerra civile. Il football poteva rinvigorire la mascolinità delle nuove generazioni.
C’era bisogno di avere nuova linfa, nuove leadership, e il football pareva essere quella chiave che poteva aprire delle nuove porte. Le università del Sud cominciarono, quasi un po’ in maniera sparuta, ad organizzare le proprie squadre.
È il 1892, gli Stati Uniti d’America affronteranno la Grande Guerra, inizieranno a speculare in borsa, il tutto per mettersi al tavolo dei grandi del mondo. Non sanno che lo sono già. E da qualche parte, a metà strada tra Athens, Georgia e Auburn, Alabama, si getteranno i semi di quella che adesso conosciamo come Southeastern Conference.
Auburn University e Georgia, la prima SEC Championship Game
Per come le vediamo ora, le università del Sud nella fine del 1800 erano davvero piccole: alcune raggiungevano le poche centinaia di studenti. Architettonicamente parlando, sono dei bei edifici, in stile vittoriano, con mattoni rossi a vista, che sembrano una cellula che diventa man mano un organismo pluricellulare, con edifici sempre più grandi, moderni e con il massimo del comfort quando si va verso l’esterno. L’idea di avere una squadra di football nel Sud è merito di George Petrie, il primo cittadino dello stato dell’Alabama ad ottenere un dottorato. Un docente di Storia e Latino di Auburn (o come si chiamava all’epoca “Alabama Agricultural and Mechanical College”) che nel 1892 decise di insegnare anche football. Tenetela a mente questa nozione di insegnare uno sport, perché il concetto sarà attuale anche nei giorni nostri.
Un compagno di classe di Petrie era anch’egli un docente all’Università della Georgia, e sotto consiglio di Petrie, fondò una squadra. Auburn andò quindi in trasferta, ad Atlanta: la notizia occupò le prime pagine dei giornali (grazie, c’era solo quello all’epoca!), non solo nelle sezioni sportive. Si giocò quella che possiamo considerare la prima finale di Conference della Southeastern Conference. Luogo della contesa: Piedmont Park
Gli studenti-tifosi di Georgia portarono con loro una capra, la loro mascotte, videro i loro compagni perdere per 10 a 0, e per mitigare la delusione, invitarono la capra ad un barbecue. Per due sole partite in tutta la storia (la prima fu contro Mercer) della University of Georgia ci fu una capra come mascotte.
Fu il primo tailgate della storia della SEC conference.
Com’è che si chiamava SIAA?
Un professore di chimica di Vanderbilt, 3 anni dopo quella partita, forgiò la Southern Intercollegiate Athletic Association, o SIAA, con l’obiettivo di “sviluppare e purificare lo sport delle università in tutto il Sud”. Era William Dudley, un ossessionato dal football: allenamenti, riunioni di studenti, conosceva i giocatori per nome. Al massimo della sua espansione, c’erano 27 istituzioni pubbliche e private. Tante… C’era Clemson, c’era Louisville, Miami, North Carolina, Tulane, Virginia Tech: TROPPI. Una super conference che più di ogni altra cosa forgiò anche le rivalità. Pensate a che sfide potremmo mai vedere, se ci fosse una conference così adesso: ACC e SEC che praticamente mettono in ombra la PAC 12, la Big Ten e la BIG XII.
Pensate anche a sfide che durano da almeno 125 anni, anche nello stesso stato: Auburn ha l’onore di sfidare Alabama dal 1893.
5000 persone circa si riunirono, quando Alabama e Auburn si incontrarono in campo “neutrale” a Birmingham; vinse Alabama 32 a 22. Fu un piccolo dramma, visto anche che Alabama A&M (così si chiamava Auburn), una scuola di agraria e meccanica, prese per i fondelli i lontani cugini della classe superiore di Alabama.
Alabama era l’università che si era formata prima della guerra civile, la scuola ammiraglia dello stato, dove i figli dei proprietari delle piantagioni andavano a giocare. C’era quindi una lotta di classe, prima ancora che una sfida tra università di stati diversi. Perciò l’anno successivo Alabama ha assunto 6 “picchiatori”.
Un grosso imbarazzo, che interruppe le relazioni fra i due istituti, per poi riprende nel 1900: ancora adesso rimane un mistero come quell’Iron bowl vinto da Auburn 53-5 potesse essere una grande vittoria per Alabama: come detto, il tema della causa persa, la Guerra civile, vincere anche quando si ha effettivamente perso, sono stilemi ricorrenti nelle storie di questa parte di America. Anche perché Alabama aveva segnato 1 TD (all’epoca il touchdown valeva 5 punti!).
In quella sfida, era presente anche un politico dello stato, un tale Temple Seibels, un grande fan di Alabama. Questo curioso signore lanciò sciaguratamente il proprio cappello in segno di “sfida” e “saluto” per quel TD così faticosamente conquistato dai Crimson Tide. I ragazzi di Auburn la presero così bene che andarono ad un curioso faccia a faccia con questo politico: Seibels estrasse un revolver dalla tasca del cappotto, lo punta contro i ragazzi di Auburn e tuona “che nessuno di voi si azzardi ad avvicinarsi”.
Auburn fece la parte del duro per 7 anni su 11, fino a quando si arrivo alla partita del 1907, che terminò in un 6 pari.
Alabama e Auburn si odiavano, ma queste partite in cui i Tides uscivano con le ossa rotte, non facevano altro che procurare una certa legittimità nella rivalità tra i due college. Si, d’accordo: c’era un certo agonismo, che sfociava nella violenza legittima, in un broncio che da una 40ina d’anni andava e veniva nel Sud.
C’erano già all’epoca un bel po’ di soldi che andavano e venivano, anche per questioni legate a certi giocatori. E per altri 41 anni, non si affrontarono. Si attese il 1948 per rivedere queste due acerrime nemiche sfidarsi su un campo di football.
Grazie a lui, abbiamo il football moderno, un trofeo, e le strane tradizioni studentesche
“Meglio essere morti da piccoli, che aver fatto un fumble con questa palla”. La citazione è di John Heisman. Quel Heisman che da il nome al premio per il migliore giocatore della stagione di college football della nazione a stelle e strisce. Il suo manuale Principle of Football è il primo libro sul coaching di qualsiasi squadra di football. Colui che innoverà poi l’allenamento in se sarà un figlio di italo-americani, che poi darà il suo nome ad un importante trofeo. Ma questa è un’altra storia.
La storia di Heisman si divide tra gli anni 1891 e 1892: andrà alla Brown e a Penn, e poi inizierà subito ad allenare, nonostante fosse uno che apparteneva alla classe media, e fosse laureato in legge a Penn
Fece anche il coltivatore di pomodori nel Texas orientale, ma non riuscì a tirar su granché da quel terreno polveroso. Come per chiunque membro della middle-class americana, arrivò un giorno in cui gli andò quasi tutto per il verso giusto. Auburn stava cercando un nuovo allenatore, e come era forse di costume nell’epoca, si cercavano figure che provenissero dal Nord. E quel nord, così operoso e industrializzato, non poteva far altro che mettere in mostra anche i college dell’Ivy League da cui uscivano i membri della classe dirigente, che si divertivano anche a giocare a football.
“Ci potete indicare un allenatore?” fu questa la domanda che Penn ricevette da parte di Auburn. Così Heisman abbandona quella fattoria di pomodori, e viaggia verso est. Questo esodo (o come potrebbe essere anche interpretato come invasione di uno yankee nel sud) era effettivamente l’unico modo per le università del Sud di avere personale competente che “insegnasse” lo sport. Gli americani erano in 60 milioni circa, cominciavano a prendere forma gli stati del West, molte contee non erano altro che campi semi inviolati, dove non c’erano scuole o licei. Probabilmente bestiame e tanto, tanto cotone.
In 5 anni rivoluzionò la squadra, e nel 1896 ricevettero Georgia Tech. Un viaggio che normalmente collegherebbe Atlanta a Montgomery, nei giorni nostri si farebbe con l’aereo. La macchina non c’era, e quindi l’unica soluzione in quegli anni era il treno.
Il 7 Novembre si giocò la partita, e nei giorni precedenti alcuni burloni di Auburn ebbero la brillantissima idea di spalmare sui binari delle generose quantità di grasso di maiale. Il viaggio fu quindi interrotto a Loachapoka, a 5 miglia dalla destinazione. Una bella camminata in salita, che secondo la leggenda fu ammirata da Heisman in persona, (pare fece delle clamorose orecchie da mercante). Vittoria per 45 a 0.
Quando si dovette giocare di nuovo la sfida tra gli Yellow Jacket e i Tigers l’anno successivo, Georgia Tech si rifiutava di andare di nuovo da questi rozzi mandriani: il preside di Auburn dovette quindi minacciare tutto il corpo studentesco di espulsione, se avessero di nuovo tentato uno scherzo del genere. Così gli studenti il mattino si alzarono di buonora, con i loro pigiami, in segno di “protesta” e scherno: ecco l’ambiente americano, quello studentesco, che esce fuori in tutta la sua creatività: ancora adesso gli studenti di Auburn vanno allo stadio con addosso i loro pigiami, nelle partite contro Tech. Le matricole lo fanno, al grido di “Wreck Tech!”
Uno sport brutale
All’alba del 20° secolo, ci furono 18 morti nel college football. Non c’erano protezioni, e l’unica cosa che dava una parvenza di protezione erano i capelli lunghi che i giocatori tenevano lunghi.
Un giocartore di Georgia, Richard Von Gammon, in fece un salto per scavalcare una mischia che assomigliava molto a quella del rugby. Atterrò sul suo mento, subì un ematoma subdurale e il giorno dopo morì.
C’è chi cominciava a non aver più pazienza nei confronti di questo sport, e il reverendo Candler comincia la sua crociata contro il football. I titoli dei giornali dell’epoca parlavano chiaro: “Dal gridiron alla tomba”. Il piano di Candler è semplice: mettere sul tavolo della discussione dello stato della Georgia una legge che renda il football illegale. Si, giocare a football diventerà illegale nello stato della Georgia, punibile con 1 anno di reclusione.
Gli evangelici erano ovviamente a favore di questa legge: le partite erano un occasione per scommettere, gli studenti si ubriacavano (Texas A&M quasi un secolo dopo offrirà dei generosi baccanali prepartita).
Ma c’era anche una strana interpretazione biblica, letterale e conservatrice in tutto ciò: nella prima lettera di San Paolo apostolo a Timòteo, capitolo 4 versetto 8 si dice che “l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la vera fede è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente e di quella futura”.
La mamma di Von Gammon, quindi, si appellò al governatore democratico dell’epoca, William Yates Atkinson pose il suo veto a questa legge
“Cosa pensate che penseranno gli yankee di noi? Penseranno che siamo un branco di retrogradi zappaterra!”
Ecco! Quel giorno tanto atteso, in cui il Sud si sarebbe messo al passo con il nord è finalmente arrivato, salvando anche le storie e le tradizioni di questa nazione, dello sport, e del football in generale. Per migliorare le condizioni di sicurezza del gioco, dovette intervenire il presidente Teddy Roosevelt in persona: ideò e promosse il passaggio in avanti. La sicurezza del gioco migliorò sensibilmente.
L’Università del Sud, Sewanee
Sarebbe difficile indicare dove si trova adesso questa piccola università del Tennessee, immersa fra i monti dei bassi Appalachi, Ma la storia di Sewanee è quella che più di ogni altra ci racconta come il football stesso non avrebbe visto una forza della natura così dominante nelle decadi a venire.
È la storia degli Iron Men, che vivevano in un’università che non aveva acqua corrente, nessun telefono (era stato inventato una decina di anni prima del 1899), ci si scaldava a ridosso dei caminetti: sembra di essere di fronte a delle scene nella casa comune di Grifondoro di Harry Potter.
Ci si spostava ancora in treno, ci vorranno ancora 4 anni affinché l’ingegner Ford regali al mondo i primi autoveicoli prodotti in serie, e da qualsiasi punto si arrivasse, la città più grossa nelle vicinanze era Chattanooga. E ci voleva uno che amministrasse questa inaspettata corazzata. C’è, e si trova già in loco: è Luke Lea. Teneva la contabilità, i contatti con le altre squadre, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ottenere quello che voleva. Organizzò quello che forse, anche per gli standard attuali, fu un piano folle! CINQUE partite, in SEI GIORNI! Per gli standard attuali, un programma che nessun giocatore, direttore atletico o allenatore accetterebbe di attuare.
Prima vittima: Texas. Texas offri una cifra che per l’epoca era ragguardevole, 700$. Il piano di Luke Lea era abbastanza ingegnoso: organizzò una partita dietro l’altra, nel viaggio di ritorno che portava il treno da Austin a Chattanooga. Ma quello che forse Texas era ignaro, era che Sewanee aveva già un gran bel record: 4 vittorie, nessun punto subito, contro Georgia (12-0, il 21 ottobre), Georgia Tech (32-0, il 23 ottobre), Tennessee (46-0, 28 ottobre) e Southwestern Presbiterian (53-0, il 3 novembre). Giocare 4 partite importanti nel giro di 10 giorni non capita nemmeno alle squadre della Champion’s League, ma per l’epoca era forse la norma.
Per il viaggio nel Texas, i giocatori di Sewanee si portarono dietro due bei barili d’acqua delle sorgenti vicine al campus, clamorosamente si dimenticarono le scarpe. Ci penso Lea, che inviò un messaggio all’università, e le scarpe da gioco per i ragazzi arrivarono con il treno successivo.
È il 9 novembre del 1899, circa 2000 persone circondano il Varsity Athletic Field di Austin, per vedere Sewanee vincere 12 a 0.
Seconda vittima: Texas A&M. 2 TD siglano una vittoria per 10 a 0. È il 10 novembre 1899.
Terza vittima: Tulane. A New Orleans, Sewanee vince 23 a o. È l’11 novembre 1899. Non gioca, per infortunio, il capitano Seibles (RB e K, che per mantenersi gli studi, vendeva scarpe fuori dall’università).
Quarta vittima: LSU. A Baton Rouge, Sewanee vince 34 a 0. È il 13 novembre 1899. Il programma di LSU era fondato da soli 7 anni.
Quinta vittima: Ole Miss, vittoria di Sewanee per 12 a o. È il 14 novembre. Un gradevole quanto inutile intermezzo contro Cumberland, in casa di Sewanee (71 a 0, il 20 novembre).
E poi arriva Auburn, allenata da coach Heisman. La serie di vittorie senza subire alcun tipo di punto si interruppe il 30 novembre del 1899: vince Sewanee 11 a 10, in un Riverside park con 3000 persone testimoni.
Anche Sewanee riconosce una cosa: un’impresa del genere non capiterà mai più. Sewanee è riconosciuta come forse una delle squadre più forti di tutti i tempi. Poi i tempi passano, Sewanee si dedica alla Division III della NCAA, e tra il 2018 e 2019 riceve un coach italiano. Uno dei 2 unici coach italiani oltreoceano: Sergio Scoppetta.
“Considera che i biglietti commemorativi dell’evento li ho trovati in un cesso”
Come scusa?
La foto dei biglietti
Ma non ci credo!
L’ho fatta in un bagno (ndr). È che qui sono fricchettoni e mettono le cose a caso. Senza una logica.
Ti dico, io sono tifoso del Toro… è già tanto che hanno ricostruito lo stadio Filadelfia, quello in cui giocava il Grande Toro di Mazzola, Bacigalupo. Per anni è rimasto un rudere… Come stai?
Bene dai… Diciamo che ho un po’ di problemi con la linea d’attacco. Ma è strano, abbiamo anche dei running back forti, ma la Offensive Line non è efficace. Paradossalmente, sono meglio dell’anno scorso, ma non hanno la testa.
Quindi tu di cosa ti occupi a Sewanee?
Mi occupo del Kick off e del Punt Return. Ma siamo un piccolo coaching staff, siamo con la coperta corta. Le nostre avversarie sono molto più attrezzate di noi.
Ti occupi anche d’altro?
Raccolgo i dati delle altre squadre, cerco di avere dei big data su quanto più posso sapere degli avversari. Come ben sai il football, dopo il baseball, è uno sport che si bassa anche sui numeri. Ho un programma in cui posso caricare il video della partita, e posso tirare fuori tutti i dati possibili degli avversari, in modo di avere delle statistiche quanto più possibile ottime. Ma quello che fanno in Division I ti lascerebbe a bocca aperta. Cerco di studiare Auburn: ha sempre 3 chiamate automatiche, mi piace molto.
Come sei arrivato a Sewanee?
Tramite la FIDAF Experience, ricevo un invito per 9 giorni (4 anni fa), che mi porta al Central College di Iowa, poi l’anno successivo vado a Augustana College in Illinois, e 2 anni dopo sono arrivato a Sewanee. Quest’anno purtroppo siamo a 2 sconfitte piuttosto brutte: la prima partita eravamo a 7-0 per noi nel primo tempo, poi siamo crollati. Questo periodo di sconfitte è ‘mentalmente preoccupante’. Il livello della Division III della NCAA è paragonabile quello italiano, ma se in Italia una sconfitta si può comunque dimenticare in fretta, qui cerchiamo di pensarci anche 24 ore al giorno per evitare gli errori futuri.
Per non parlare anche il livello che divide una Division I da una III: i nostri ragazzi finiscono di studiare alle 5, 3 e mezzo, poi li alleniamo. In tutta la NFL ci sono solo 7 giocatori di Division III. Ma spesso finiscono nel training team: un ragazzo di St. Thomas, una delle top 10 della terza divisione, gli è stato proposto di fare parte della squadra di allenamento dei Vikings, ma ha declinato, perché non gli andava di subire un trattamento fisico di quelli tosti per qualche migliaio di dollari al mese. Aveva già trovato un lavoro in cui ne guadagnava 150mila al mese. È un OT di oltre 2 metri per oltre 200 kg.
Dacci un pronostico: uno per la NCAA e uno per la NFL!
Credo che Clemson sia la squadra da battere, come anche i Patriots. Ma se devo puntare un dollaro, lo metto sui miei 49ers. Almeno sono competitivi quest’anno. Ammetto anche che il QB di LSU, Burrow, sta disputando una gran bella stagione. Vedo molto bene LSU.
Grazie mille, Sergio! E buona stagione!
Grazie a voi.
Autore: Ruben Novello
Data di pubblicazione: