Touchdown logo

Wild Card NFC: i Saints finiscono dai sogni all’incubo in un ennesimo OT

I Saints perdono per il terzo anno di fila la possibilità di andare al Superbowl, i Vikings guidati da Cousins sono di un livello superiore


Ci lamentiamo che l’Italia non è un paese per giovani. Le nostre regioni, i nostri comuni, pullulano di anziani (persone che dal punto di vista epidemiologico sono al di sopra dei 65 anni di età). L’età anagrafica di un paese, in effetti, può pesare sul sistema della previdenza sociale, sulle pensioni. E non di meno sulle opportunità che i giovani possono avere. Tempo che un under 30 abbia le sue chance, che già diventa un vecchio over 30, stanco, demotivato, e con una fila di puledri pronti a scalpitare.

L’NFL non fa eccezione: Tom Brady ieri sera avrà avuto modo e tempo di poter maturare una scelta sensata sulla sua carriera. Non ha un contratto rinnovato, e non ha nemmeno una tag sul suo profilo di trasferimento. Stanotte, toccherà a Drew Brees fare un ragionamento simile: detenere una marea di record personali, ma un solo Super Bowl vinto. E dal mio umile punto di vista, mi sembra oramai quasi impossibile dare delle chances ad un QB over 40, con una serie di infortuni più o meno gravi che gli pesano sul suo fisico, e che non ha la squadra per puntare seriamente al Super Bowl. Ma arriveremo ad analizzare la sconfitta dei Saints.

Complimenti Vikings, sul serio.

Pochi possono dire di andare a New Orleans, giocarsi un turno di Playoff, e tornare a casa con una vittoria. Lo possono dire, oltre ai Rams, anche i Vikings da stasera, che espugnano il Superdome in un overtime giocato bene, sapientemente. Con la maturità di una squadra per nulla intimorita del contesto che si trovava di fronte. Sugli spalti c’erano una quantità considerevole di tifosi con striscioni che dicevano “No other Vikings Miracle!”. Di miracolo, sicuro non si tratta, ma di tattica, di giocare in maniera precisa, ordinata, e senza eccessi di penalità.

Se i Vikings ne hanno subite solo 4, per un totale di 26 yard, i Saints hanno messo in totale 6 penalità, per il doppio del terreno perso (o concesso, perché alcune penalità sono state prese anche in attacco).

I Vikings vincono anche sui primi down (22-19), sul numero di schemi attuati (74-54), yard complessive (362-324), e hanno anche un miglior conteggio sui turnover (1 a 2).

Il football è un gioco abbastanza semplice, in cui la matematica, la tattica, e la bravura del gruppo (la voglia di vincere, insomma) sono ingredienti fondamentali per far si che si vincano le partite che contano. Non quelle contro i Colts, e tirare fuori 29 passaggi su 30: bensì quelle di Playoff, che sono molto più importanti. Tom Brady può seriamente pensare di indossare un elegante doppio bottone, come anche Brees. Ma quella palla non esce più da quelle mani con una volta.

Fenomenologia del Nueve

C’è ancora un QB, con il numero 9, che nella notte tra lunedì e martedì (sarà più sul martedì in Italia) che deve giocarsi ancora la sua entrata trionfale nell’NFL: quello è Joe Burrow. A New Orleans sognano di poterlo vedere indossare il numero 9. Si tratta infatti di sostituire alcune lettere, e metterne di altre. Dal punto di vista del marketing può essere una mossa da scacco matto perfetta.

Ma Burreaux (che ha ricambiato l’amore che ha ricevuto in Louisiana adottando una storpiatura del suo cognome in salsa cajun) è atteso con vibrante trepidazione alla corte dell’Ohio del sud-occidentale.

Dico questo perché nel 1999, un fulminatissimo Mike Ditka riuscì a buttare via qualsiasi cosa fosse nel draft dei Saints a favore dei Redskins, in modo tale da assicurarsi le prestazioni di un certo Ricky Williams. Quest’ultimo non lascio un segno sinceramente indelebile nella memoria dei tifosi della Big Easy, però forse si può dire all’intero staff dirigenziale dei Saints che sarebbero perdonati se consegnassero ai Bengals la loro dote di scelte al Draft 2020, insieme a Michael Thomas (incedibile, visto anche il suo onerosissimo contratto, seppur meritatamente guadagnato), Cameron Jordan (che non perderà sicuro l’occasione di dire che gli arbitri sono Foot Locker) e perché no, anche Alvin Kamara (opaca fotografia di un running back di sicuro incisivo nelle annate precedenti).

La partita: la sagra degli errori arbitrali

C’è ancora chi si lamenta per gli arbitraggi discutibili, di sviste clamorose, e su questo i Saints vantano in credito enorme da almeno un paio d’anni (questo incluso). Questo però non deve essere la giustificazione da parte di una squadra che per 3 anni consecutivi raggiunge i Playoff, senza raggiungere il Superbowl.

Ed è giusto così: non avrebbe avuto chance nel gelido freddo di Green Bay, e nemmeno nella più mite San Francisco. Semplicemente, i Saints devono fare un grosso lavoro di rinnovamento, a partire appunto dal roster, pieno zeppo di mercenari free-agents che fanno un one-and-bye: gente che sballa completamente il salary cap, e lascia ai veri soggetti motivati, pochi scampoli di partita.

Mi sento in dovere di fare 2 nomi, su cui eventualmente si potranno basare le fondamenta dei saints di questi anni 20 del 2000: Wil Lutz (un autentico kicker da clutch situation) e Taysom Hill, che ha acquisito potenza e precisione nel suo braccio.

VIKINGS BATTONO SAINTS 26 a 20 IN OVERTIME

Please follow and like us: