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NFC 2019: bilancio di metà stagione

La National Football Conference ha offerto nella prima metà di stagione la maggiore sorpresa (i 49ers) ma anche delusioni cocenti (Bears, Rams…)

Kyle Shananan e Jimmy Garoppolo 49ers 2019

Seconda parte, la NFC

La National Football Conference ha offerto nella prima metà di stagione la maggiore sorpresa della regular season 2018, ossia i San Francisco 49ers che, sotto la guida di Kyle Shanahan, stanno tornando a sognare dopo anni di mediocrità (per usare un eufemismo) successivi all’ancora oggi difficile da spiegare licenziamento di Jim Harbaugh.

Accanto alla sorpresa positiva della franchigia basata a Santa Clara, ci sono state però anche varie sorprese in negativo nella NFC. Indubbiamente, rispetto alle previsioni della vigilia, i Philadelphia Eagles hanno incontrato difficoltà non preventivate, i Dallas Cowboys si sono in parte arenati contro avversari sulla carta largamente inferiori ma soprattutto i Chicago Bears e gli Atlanta Falcons hanno deluso senza mezzi termini, considerando il livello di talento a loro disposizione. Partiamo da Ovest, compiendo il cammino inverso rispetto a quello compiuto per la AFC, andando a discutere com’è andata finora nella divisione dell’unica squadra imbattuta dell’intera NFL dopo la Week 9.

NFC WEST

La NFC West è indiscutibilmente emersa come la divisione più competitiva dell’intera lega, in questi primi due mesi di stagione. I suoi padroni, nonché attuali leader dell’intera NFC sono i San Francisco 49ers (8-0-0) di Kyle Shanahan. Non si può ignorare che alcune aspettative, al terzo anno da capo allenatore del figlio di Mike Shanahan, esistessero intorno ai 49ers ma, al tempo stesso, le incognite che gravavano sul ritorno di Jimmy Garoppolo, dopo la lesione al legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro sofferta nella terza partita del 2018, rendevano difficile avanzare previsioni esageratamente ottimistiche. Beh, dopo 9 settimane possiamo ben dire che Garoppolo è recuperato pienamente eppure non è probabilmente il primissimo artefice di questo miracolo nella Bay Area. I 49ers stanno vincendo e convincendo sostenuti anche da un gioco di corsa efficiente e da una difesa molto solida, la prima per yards concesse di tutta la lega. Dati che non possono lasciare indifferenti, tenendo in particolare conto che la NFC West sembra a tutti gli effetti essere la divisione più competitiva dell’intera NFL.

I primi inseguitori dei 49ers sono infatti i Seattle Seahawks (7-2-0) che, a modo loro, rappresentano anch’essi una sorpresa abbastanza significativa di questa prima metà di stagione. Pochi, infatti, davano credito alla squadra di Pete Carroll di essere pronta a puntare ai playoffs con un ruolo da assoluta protagonista ma qua, senza dilungarsi più di tanto sulla combinazione di fattori che hanno messo in luce i Seahawks come una squadra sicuramente competitiva, basta soffermarsi sulla stagione straordinaria, da MVP assoluto, che sta sfornando il leader indiscusso della franchigia dello stato di Washington. Sì, Russell Wilson, uno dei QB più forti in circolazione eppure uno che non sempre viene menzionato nel lotto di quei quarterbacks che rappresentano le superstars della NFL. Il Monday Night della Week 10 che opporrà i Seahawks ai 49ers a Santa Clara sarà sicuramente una partita fondamentale per capire meglio le reali ambizioni dei due club.

Chi ha invece reso un po’ al di sotto delle aspettative della vigilia, legittimate dall’apparizione all’ultimo Super Bowl in rappresentanza della NFC, sono stati i Los Angeles Rams (5-3-0), chiamati ora ad una rincorsa non facile nella seconda metà di stagione, per non perdere il treno che li riporterebbe ai playoffs perlomeno come wild card team. I Rams, come peraltro accade non di rado a chi esce sconfitto da un Super Bowl, sono apparsi ingolfati e in generale hanno accusato problemi di varia natura. In primis, la difesa guidata da un guru del calibro di Wade Phillips, non si è dimostrata dominante come in passato, a dispetto della presenza di uno dei difensori migliori in circolazione (se non il migliore), il defensive tackle Aaron Donald; in secondo luogo, anche l’attacco, in passato esplosivo come pochi, è sembrato avere perso un passo, soprattutto (ma non solo) in ragione dei numeri piuttosto deludenti del QB Jared Goff. Non aiuta certo nemmeno il momento non facile vissuto da Todd Gurley, frenato dai problemi (cronici, purtroppo) alle ginocchia che ne hanno limitato l’uso da parte di Sean McVay. Insomma, sindrome da Super Bowl perso anche per i Rams.

Infine, gli Arizona Cardinals (3-5-1) erano alla vigilia una squadra fra quelle che più incuriosivano per l’arrivo di un coach dal college molto stimato per le idee offensive, quale Kliff Kingsbury, nonché per l’esordio tra i pro della prima scelta assoluta all’ultimo draft, il QB Kyler Murray. Benchè Murray sia un tipo di QB che attrae naturalmente su di sé pareri controversi per varie ragioni (statura bassa, mobilità che lo induce a correre troppo esponendosi a colpi non necessari, eccetera) si può affermare che la prima parte di stagione sia stata complessivamente promettente sia per lui che per Kingsbury. I Cardinals hanno già eguagliato il numero totale di vittorie del 2018 e possono guardare alla seconda metà di stagione con la serenità di chi sta costruendo per il medio-lungo termine, senza doversi disperare per la distanza che li separa da squadre che, ad oggi, sono nell’élite della NFL.

NFC SOUTH

Tutto secondo le previsioni al vertice della NFC South, anche se con alcune variazioni sul tema non di poco conto. I New Orleans Saints (7-1-0) sono ripartiti da dove si erano fermati con la speranza però di andare oltre. Archiviata (ma non dimenticata) la sconfitta nell’NFC Championship Game per mano dei Rams, la franchigia della Louisiana è ripartita fortissimo, dimostrando di avere, oltre che un grande gioco sia offensivo che difensivo, anche un carattere d’acciaio. Pur avendo dovuto fare a meno di Drew Brees per 5 partite a causa di un infortunio alla mano forte patito alla seconda giornata, durante la sconfitta patita dai Rams (ancora loro…) a Los Angeles, il suo sostituto Teddy Bridgewater ne ha saputo raccogliere il testimone con assoluta padronanza del ruolo, guidando i Saints a cinque vittorie consecutive durante l’assenza di Brees. Un momento davvero meritato per Bridgewater, dopo che la sua carriera era parsa deragliare a seguito del pesantissimo infortunio al ginocchio patito durante il training camp con i Minnesota Vikings al suo terzo anno da pro. Ora i Saints sono tornati ad essere la squadra di Drew Brees, sempre a caccia di un secondo anello ma la consapevolezza di potere contare su questo Bridgewater in caso di necessità è senz’altro un punto di forza aggiuntivo per Sean Payton.

Alle spalle dei Saints si trovano i Carolina Panthers (5-3-0) di Ron Rivera, che dopo un inizio al rallentatore (0-2 nelle prime due giornate) hanno trovato una sorprendente stabilità sotto la guida del QB Kyle Allen, messo sotto contratto da undrafted rookie nel 2018 e quest’anno nuovo titolare dalla terza giornata, complice l’infortunio patito da Cam Newton. Un Newton che, tra l’altro, è stato appena ufficialmente dichiarato out per il resto della stagione, con la conseguenza di mettere in discussione la sua stessa permanenza a Charlotte nel 2020. Gran parte del successo dei Panthers si deve però indiscutibilmente a quel prodigioso giocatore che risponde al nome di Christian McCaffrey, sin qui autore di una stagione spettacolare: in queste prime otto partite, il numero totale di yards da scrimmage (corsa + ricezione) lo vede in linea, proiettandone i numeri sulla durata dell’intera stagione, per giocarsi la possibilità di riscrivere il record di 2509 yards stabilito da Chris Johnson nel 2009, con la maglia dei Titans. Un dato che è sufficiente a fare capire che i Panthers, malgrado la subalternità ai Saints nella divisione, ci sono eccome per la corsa ad una wild card.

Partecipazione ai playoffs che resterà invece un miraggio per i Tampa Bay Buccaneers (2-6-0), dove l’arrivo di Bruce Arians come head coach non ha fin qui portato Jameis Winston alla tanto sperata maturazione. E dire che Winston, secondo i rumors, era una delle ragioni che avevano convinto Arians a lasciare il proprio ritiro e tornare sulle sidelines, convinto di potere vincere con l’ex prima scelta assoluta. Chiaro che occorre dare tempo ad un nuovo allenatore, per quanto esperto e valido come Arians, prima di potere tirare le somme sulle proprie concrete possibilità di successo o meno ma diventa via via più evidente che i Bucs possano difficilmente scommettere su Winston per il futuro. E dato che Winston sarà un free agent a marzo, le domande sulle decisioni che la franchigia prenderà, di comune accordo con Arians si spera, si moltiplicano.

Mestamente in fondo alla NFC South si è adagiata invece una delle maggiori sorprese in negativo (forse la maggiore, considerando il livello di talento) di tutta la NFL. Gli Atlanta Falcons (1-7-0) sembrano ancora frenati dalla maledizione del Super Bowl clamorosamente perso nel febbraio 2017 per mano dei Patiots. Inspiegabile però vedere una distanza così netta fra loro e chi li precede, considerando le “armi” a disposizione di questa squadra, particolarmente in attacco, dove tra Matt Ryan, Julio Jones, Devonta Freeman, Calvin Ridley, Austin Hooper, non si capisce davvero cosa manchi. Probabilmente c’è stato davvero un progressivo esaurimento di energie mentali, aldilà della questione del talento in sé ed a questo punto, per quanto siano apprezzabili le decisioni del patron Arthur Blank di non destabilizzare ulteriormente l’ambiente a stagione in corso, sembra proprio inevitabile la separazione dal coach che li aveva portati ad un soffio della gloria, quel Dan Quinn che tante speranze aveva portato arrivando da Seattle con un anello e la nomea di uno dei migliori allenatori difensivi della lega.

NFC NORTH

Da Sud a Nord, da un QB destinato alla Hall of Fame ad un altro che senz’altro gli farà compagnia con il proprio busto a Canton. I Green Bay Packers (7-2-0) di Aaron Rodgers hanno ritrovato lo smalto che si era progressivamente perso sotto Mike McCarthy. L’arrivo di un head coach giovane e votato all’attacco come Matt LaFleur ha, a dispetto di alcune malelingue che hanno cercato di mettere zizzania nei Packers sin dall’instaurarsi del nuovo regime tecnico, rivitalizzato Rodgers ma soprattutto portato, a sorpresa, una solidità difensiva che da tempo non si vedeva nella Frozen Tundra. Una difesa solida che, ovviamente, rappresentava il complemento necessario ad un attacco che, oltre a Rodgers, non sembra annoverare grandissime stelle ma che sta funzionando a dovere. I Packers stanno anche sorprendendo per effetto delle disgrazie dei concorrenti ma con la presenza a roster di uno dei QB migliori della lega da un decennio a questo parte, l’inclusione nel gruppo dei favoriti nella corsa ai playoffs della NFC è d’obbligo.

Chi segue da vicino i Packers sono i Minnesota Vikings (6-3-0) di coach Mike Zimmer. Partiti così così e messi sotto accusa dopo la brutta sconfitta di Chicago nella Week 4, i Vikings hanno però avuto una reazione di grande carattere, continuando a cavalcare un Dalvin Cook finalmente sano e quindi dominante, ma soprattutto ritrovando il miglior Kirk Cousins che si sia visto dal suo arrivo a Minneapolis. Le prestazioni in crescendo dell’ex quarterback di Michigan State hanno innescato finalmente a pieno regime quel duo di ricevitori pericolosissimi formato da Adam Thielen e Stefon Diggs. Purtroppo per i Vikings, la sconfitta di Kansas City contro i Chiefs orfani di Mahomes, ha precluso la possibilità di agganciare i Packers sconfitti dai Chargers e le chances di postseason passeranno anche per il Monday Night prenatalizio, alla Week 16, in casa contro i Packers.

Un discorso complicato da affrontare è quello inerente all’analisi dei Detroit Lions (3-4-1), squadra oggettivamente enigmatica e caratterizzata da un attacco di grande potenza ed una difesa che si presta agli attacchi avversari come un panetto di burro conservato a temperatura ambiente. In questo, i Lions stanno letteralmente sprecando il miglior Matt Stafford che si sia visto da che entrò nell’NFL nel 2009, come prima scelta assoluta da parte della franchigia del Michigan. Nondimeno, il giudizio su Matt Patricia resta in sospeso. L’head coach, alla seconda stagione dopo essersi affermato come defensive coordinator nello staff di Bill Belichick ai Patriots, malgrado il suo background non è riuscito ad imprimere alla difesa quell’organizzazione che servirebbe per supportare Stafford e l’attacco. Risultato: i Lions hanno sicuramente lasciato un paio di vittorie sul campo che adesso farebbero molto comodo per rimanere agganciati al treno dei pretendenti ad una wild card nella NFC.

Infine, chi ha rappresentato senz’ombra di dubbio una grande delusione nelle prime 9 settimane del 2019 sono i Chicago Bears (3-5-0), indicati da tanti addetti ai lavori come una squadra pronta a confermare la crescita mostrata nel 2018 e a prendersi la rivincita del famigerato “double doink”, il field goal fallito da Codey Parkey dopo che l’ovale si infranse prima contro un palo e poi contro la “traversa” nel finale del Wild Card Game del Soldier Field perso per mano degli Eagles. La realtà per i “Monsters of the Midway” non si è neppure lontanamente avvicinata a queste previsioni. Praticamente è diventata anzi un incubo, dopo la prova di forza contro i Vikings nella Week 4, alla quale sono seguite 4 sconfitte consecutive che hanno evidenziato una serie di problemi, complessi ed intricati fra loro, che richiederebbero interventi drastici ma le cui soluzioni non sono facilmente individuabili. La difesa resta certamente una delle migliori in assoluto nella lega ma i passi indietro, anche clamorosi, evidenziati dall’attacco la hanno sovraccaricata di lavoro e di responsabilità. In particolare, gli osservatori si sono sbizzarriti per capire i motivi dei passi indietro del giovane QB Mitch Trubisky, che dopo un promettente 2018 è regredito in modo preoccupante quest’anno, a livelli che non si addicono ad una seconda scelta assoluta (specie se, come avvenuto nel 2017, i Bears lo scelsero preferendolo a Mahomes e Watson…). A Matt Nagy risolvere il garbuglio in cui la sua squadra si è cacciata anche largamente grazie a lui, per quanto sia chiaro che in una divisione così combattuta le speranze di postseason iniziando a ridursi al lumicino.

NFC EAST

E concludiamo il nostro viaggio coast-to-coast per gli Stati Uniti e la National Football League andando ad analizzare la situazione a metà stagione nella NFC East.

A guidare la divisione si trovano ora i Dallas Cowboys (5-3-0) che, in 8 partite, hanno già mostrato il meglio ed il peggio di loro, seguendo una vera e propria roulette russa che coach Jason Garrett dovrà fare in modo di rendere un po’ più stabile nella seconda parte di stagione. Se infatti il primato momentaneo rassicura la franchigia di Jerry Jones, il presagio più ragionevole in questo momento è che la NFC East potrà avere una sola rappresentante ai playoff, sicché la corsa con gli Eagles alla vittoria della divisione resta la via maestra per accedere alla postseason. Che cosa non ha funzionato nei Cowboys dopo un inizio assai incoraggiante? Difficile dirlo con esattezza, anche se le distrazioni e quindi l’aspetto mentale sembrano essere una componente tutt’altro che secondaria, quando si considera l’impatto sul record di una sconfitta contro i (terribili) New York Jets. Il Sunday Night di Week 9 in casa contro i Vikings potrà certamente rivelare se, a proposito di testa, la mentalità dei Cowboys per intraprendere la seconda metà di regular season è quella giusta.

A seguire da vicino i Cowboys ci sono i Philadelphia Eagles (5-4-0), altra semi-delusa di questo avvio di stagione. Diciamo semi, perché le avversità incontrate dagli Eagles sono poca cosa rispetto al flop fin qui mostrato da Bears e Falcons, per esempio. Ciononostante, in tanti reputavano gli Eagles i veri favoriti nella NFC, mentre tutta la fatica sin qui fatta ha detto il contrario. Fra i vari segnali di allarme, oltre ad un ruolino di marcia tutt’altro che trionfale, ha fatto specie anche il poco tatto di Doug Pederson, un allenatore che in questi anni si è stabilito nell’élite della NFL dopo il Super Bowl vinto nel febbraio 2018 sui Patriots, nel promettere una vittoria a Dallas che puntualmente non è arrivata. Siccome in campo ci vanno però i giocatori, non è nemmeno passato inosservato lo standard di rendimento di secondaria e linea d’attacco, al di sotto delle aspettative d’obbligo per una squadra ritenuta aspirante alla vittoria finale. Di sicuro, gli Eagles hanno necessità del migliore Carson Wentz, non certo fra i colpevoli di questa prima fase così così, ma chiamato anche a sopperire ai limiti evidenziati dai compagni, senza più la polizza in caso di infortuni di nome Nick Foles alle sue spalle.

I New York Giants (2-7-0) hanno intrapreso una svolta epocale dopo avere affidato le chiavi dell’attacco a Daniel Jones, il giovane QB da Duke chiamato all’ultimo draft con la sesta scelta assoluta. Una decisione che ha scatenato polemiche e dibattiti non ancora sopiti e stimolati dalla sensazione che Daniel Jones avrebbe potuto essere chiamato con una scelta più bassa (i Giants disponevano anche della diciassettesima scelta al primo giro per effetto dello scambio che aveva portato Odell Beckham a Cleveland). Per ora, oltre a riconoscere coraggio a Pat Shurmur per avere accelerato l’inserimento di Jones ed anche il prepensionamento di Eli Manning, operazione non semplicissima visto ciò che Manning rappresenta nella storia dei Giants, si è visto che Jones, al netto delle normali fluttuazioni di rendimento di un rookie inserito in una squadra con molti punti deboli, ha mostrato di non meritare alcune delle feroci critiche rivolte alla sua scelta nella scorsa primavera. Se la sua carriera prenderà la piega del tipico franchise QB, lo dirà il tempo ma forse è più impellente in casa Giants riconsiderare la posizione di Pat Shurmur come capo allenatore, ruolo nel quale aveva avuto una precedente esperienza poco fortunata a Cleveland (fosse il solo…) e che non sta svolgendo in modo particolarmente brillante nemmeno nella Grande Mela.

Concludiamo con una franchigia che, da anni oramai a dispetto di una storia gloriosa, è un emblema di disfunzionalità estrema (corsa serrata qua con Jets, Dolphins e Browns, mentre i Raiders sembrano essere usciti da questo gruppo delle meraviglie). Licenziato dopo poche settimane Jay Gruden, i Washington Redskins (1-8-0) si sono affidati a Bill Callahan, ex-capo allenatore dei Raiders dell’ultimo Super Bowl disputato (e perso) nel 2002 e dell’università di Nebraska e da tempo coach della linea d’attacco a Washington. A parte l’ovvia convinzione che si tratti di una toppa per arrivare a fine anno, la situazione non giova alla prospettiva di crescita del QB scelto per essere il futuro volto della franchigia nel draft dello scorso aprile, Dwayne Haskins da Ohio State, apparso ancora un po’ troppo acerbo nelle proprie prime apparizioni. La vicenda del left tackle Trent Williams ha richiamato piuttosto ancora una volta i quanto mai delusi tifosi del team della capitale, alla realtà che il pesce puzza sempre dalla testa e la coppia formata dal proprietario Dan Snyder e dal presidente Bruce Allen è stata, negli anni, la vera artefice di un disastro (dis)organizzativo che sembra non trovare fine.

POSTSEASON PREVIEW

  1. New Orleans Saints
  2. San Francisco 49ers
  3. Green Bay Packers
  4. Dallas Cowboys
  5. Seattle Seahawks
  6. Minnesota Vikings

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